mercoledì 16 marzo 2016

CURIOSITA': Ravenna capitale del “Mah-jong”

Non c’è un film cinese in cui il Mah Jong, non sia citato. Ci giocano le mogli in Lanterne rosse, ci giocano gli invitati che si imbucano nella stanza d’albergo degli sposi ne " Il banchetto di nozze", ci giocano i vicini di casa nel meraviglioso, claustrofobico “In the mood for love”, ci giocano di nuovo le mogli in “Lust. Caution!” prima che i due protagonisti inizino a fottersi in tutte le posizioni…nel primo e nell’ultimo impariamo peraltro che il mah jong è un gioco da donne… come il Burraco che sta spopolando fra le signore.
L'antico gioco del Mah-Jong in Romagna "l 'è e'magiò".

La materia è talmente vasta e complessa che si rimanda il lettore interessato all’ottimo libro di Piero Zama 


Le origini sono antiche,misteriose ed anche leggendarie, le prime tracce risalgono al 560 a.C., alcune tradizioni lo fanno risalire al 2500 a.C., si dice sia nato in Manciuria, c’è chi attribuisce l’ideazione a Confucio, pare si chiamasse “lung-chan” (battaglia di draghi), pare si giocasse solo alla corte reale, la leggenda parla di un pescatore, tale Sz, che… Come sia giunto in Italia ce lo racconta Piero Zama. “Nel nostro paese diversi commercianti cinesi si stabilirono nelle città di Trieste, Torino, Ancona, Venezia, Vicenza, Ravenna, Roma, Napoli, Genova e Catania. Si scatenò ben presto una vera gara nell’acquistare le confezioni più pregiate e il mah-jong, dal 1924, fu considerato il gioco più ‘chic’,…Ma nel giro di pochi anni la moda si esaurì e il mah-jong fu presto dimenticato in tutta Europa; unica eccezione rimase Ravenna.

Alla fine del 1923, infatti, alcuni cinesi essenzialmente venditori ambulanti di cravatte, costituirono a Ravenna una piccola comunità nella zona della basilica di San Vitale. Si sistemavano negli incroci delle strade principali e, fra una vendita di una cravatta e un’altra, si dilettavano ad interminabili partite di mah-jong. Dalla strada al bar il passo fu molto breve, anche perché nel ravennate il bar è stato, da sempre, concepito come un luogo di incontro, di ritrovo. Purtroppo il numero delle confezioni era molto limitato, i ‘Mah-jong’ integri iniziarono così a scarseggiare: dietro sollecitazione dei cinesi e degli stessi ravennati alcuni artigiani locali (Posati, Cattani e Valvassori) allora si attrezzarono per la riparazione… e Valvassori ricevette un numero così alto di commesse che fu costretto, a partire dal 1955, ad acquistare una pressa per incrementare la produzione. Dunque il gioco è rimasto in uso a Ravenna perché ‘qualcuno’ lo produceva localmente o forse veniva prodotto perché qualcuno lo richiedeva? Le parti che compongono il gioco fanno, forse, capire uno dei motivi della affezione dei Ravegnani per questo gioco.

Gente che vive tra paludi e nebbie, contadini insabbiati nelle secche di un porto dimenticato, marinai con tatuaggi bizantini, nostalgici della corte di Teodorico, gente con i cromosomi a oriente di Roma non può non restare affascinata da: stagioni, fiori, punti cardinali/ venti, draghi/colori, bambù/canne, cerchi/ palle, numeri/caratteri.

Le “tessere” (tegole, pedine) colorate e decorate non possono forse essere confuse, da artisti musivi innati, con disperse tessere di mosaici fantasticati?

Le tessere, genericamente chiamate ’palle’, termine che può sembrare spregiativo, ma così non è (la tomba di Dante viene chiamata “pivirola”, ’”zucarira”, pepiera, zuccheriera, ed è uno dei monumenti di cui andiamo più fieri), è la nostra abitudine a minimizzare il “grande” ed esagerare il “poco”.

Col tempo il gioco ha divorato la nostra anima e noi abbiamo divorato l’anima del gioco. Alle tegole sono stati aggiunti numeri e lettere, chiara dimostrazione di appropriazione, affetto e senso pratico; le regole cinesi/occidentali sono state modificate a tal punto che anche l’ordine del gioco (in senso orario) è contrario a quello in uso nel resto del mondo (Latina compresa).

D’altra parte cosa ci si può aspettare da gente che ha mal sopportato il dominio dello Stato Pontificio se non l’esaltazione dell’anticlericalismo, la codificazione del contrario.
Si dice che il ticchettio delle “tessere”, tanto simile al rumore dei carri sull’acciottolato delle vie cittadine, mescolate ad ampi e lenti gesti, con l’aiuto della “stecca”, possa calmare la tempesta e fecondare le cavalle brade della pineta.
Si dice che la costruzione della “muraglia” assicura contro il nemico, protegge dal terremoto e dai geometri. Si dice che al lancio dei dadi anche il cuore si fermi ad osservare i rimbalzi.
Si dice…

Lo svolgimento della partita è, forse, un altro dei motivi di affezione. Tutti contro tutti, lode all’individualismo assoluto, esaltazione dell’anarchia, componente socioculturale da sempre presente entro le mura cittadine. L’alea genetica del gioco obbliga di continuo a scelte contraddittorie, chiunque può prendere lo “scarto” di chiunque e ciò che per te non è necessario può essere necessario a qualcun altro e quindi, al fine che il tuo ‘non necessario’ non venga sfruttato da altri, diviene ’necessario

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