sabato 19 marzo 2016

CURIOSITA': Giovanni Pascoli e la poesia sulla piadina

Se parliamo di piada subito il nostro pensiero va alla tradizione culinaria romagnola, alle immagini vacanziere della sua riviera e dei chioschi dove viene offerta con il prosciutto o lo squacquerone. Fino agli sessanta/settanta non era così diffusa a livello nazionale come oggi.

Questo piatto della tradizione è stato la musa ispiratrice della poesia “Il desinare” e del poemetto “La Piada” di Giovanni Pascoli; in altri scritti il poeta la cita come “pane di Enea” o “pane rude di Roma” attribuendole l’origine latina e la descrive come “Piada, pieda, pida, pié, si chiama dai romagnoli la spianata di grano o di granoturco o mista, che è il cibo della povera gente; e si intride senza lievito; e si cuoce in una teglia di argilla, che si chiama testo, sopra il focolare, che si chiama arola…”.
Sappiamo che Pascoli amava il buon cibo ed era un ottimo bevitore. Nel suo “nido”, la casa che abitava con le sorelle, ospitava spesso gli amici più cari e offriva loro pranzi e cene tipicamente romagnole, che Mariù preparava con abilità, per risollevarsi dagli impegni di studio e di lavoro e per distrarsi dai suoi turbamenti.


L’amore per la cucina e per la campagna, per i sapori semplici e genuini, per i prodotti dell’orto traspare nella sua produzione poetica spesso in maniera discreta fino ad arrivare a descrivere delle vere e proprie ricette, l’ambiente della cucina con tutti gli attrezzi: «teglia», «aglio», «paiolo», «cannone» (matterello), «canovaccio» (telo).
Ma l’intento poetico non è ovviamente la descrizione dell’esecuzione di una ricetta.  La funzione nutritiva del cibo (della piada in questo caso) passa in secondo piano per dare spazio ad una atmosfera magica dove l’immaginazione e la comunicazione si concentrano su pensieri esistenziali e sociali.


La piada povera, quella co
nfezionata con farina di mais (eventualmente arricchita di un po’ di grano), ben diversa dalle piade ricche per i benestanti di puro frumento, rinforzate con strutto, uova o zucchero, nella poesia del Pascoli diventa un sublime e dignitoso “pane della povertà”, “pane dell'umanità”, “pane della libertà” e “pane del lavoro”.

Di seguito un breve ma significativo estratto della poesia:

Ma tu, Maria, con le tue mani blande
domi la pasta e poi l’allarghi e spiani;
ed ecco è liscia come un foglio, e grande
come la luna; e sulle aperte mani
tu me l’arrechi, e me l’adagi molle
sul testo caldo, e quindi t’allontani.

Io, lo giuro, e le attizzo con le molle
sotto, fin che stride invasa
dal calor mite, e si rigonfia in bolle:
e l’odore del pane empie la casa.