La palla, di ca. 15 cm di diametro, è tuttora esposta al Museo del Risorgimento di Faenza.
L’origine del Museo risale al 1904, quando fu allestita in modo permanente, in un locale annesso alla Pinacoteca Comunale, una mostra dedicata al contributo dei Faentini al Risorgimento Italiano, già presentata all’Esposizione Regionale Romagnola di Ravenna. Intorno agli anni Venti il Museo fu chiuso per consentire un ampliamento degli spazi espositivi della Pinacoteca.
Un mostra sull’indipendenza italiana, tenutasi nel 1921 presso i locali del Palazzo Comunale, determinò un ulteriore incremento della raccolta con donazioni di documenti e cimeli della prima Guerra Mondiale.
L’esposizione ebbe grande successo e ricevette il consenso del pubblico faentino, tanto è vero che l’anno successivo fu pubblicato un piccolo catalogo e si auspicò che le raccolte museali fossero riordinate presso la Biblioteca Comunale.
Nel 1929 il Museo fu riaperto e ordinato nei locali della Biblioteca, diretta in quel momento da Piero Zama, storico del Risorgimento, e durante questo periodo, specialmente negli anni 1935 e 1936, si registrarono numerose donazioni.
Nel 1960 alla documentazione ottocentesca e coloniale si aggiunsero altre testimonianze sulla lotta di liberazione. Il materiale rimase esposto al piano terra della Biblioteca fino al 1975, anno in cui, per motivi di ampliamento dei servizi, si decise di trasferirlo in un deposito esterno in attesa di una sede idonea.
Ora la collezione ha trovato la sua definitiva sistemazione in un’ala del piano nobile di Palazzo Laderchi. L’importanza di questo edificio si lega alle molteplici vicende di uno dei più antichi casati faentini, quello della famiglia Laderchi, che tanto ha contribuito alla storia e allo sviluppo della città soprattutto durante il periodo risorgimentale. Il Palazzo fa parte di quel complesso edilizio monumentale prospiciente alla piazza che caraterizza il centro storico e ne è uno degli elementi più significativi sia per la felice posizione, sia per il valore dell’architettura e delle decorazioni interne.
Il nucleo più significativo, è costituito da stampe, fotografie, dipinti, proclami, bandiere, uniformi e cimeli vari. In attesa di restaurare e rendere a norma nuovi spazi espositivi in cui sviluppare un percorso museografico che valorizzi l’intero patrimonio, il museo ha riaperto con una selezione dei più importanti documenti faentini e cimeli compresi dall’Età Napoleonica all’Unità d’Italia. L’esposizione parte con la presentazione di stampe, fotografie e una bandiera del periodo risorgimentale, materiali tutti restaurati nell’ultimo decennio grazie ai contributi dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della regione Emilia-Romagna e del Comune di Faenza. Nelle salette che seguono si trovano alcuni volti dei protagonisti dell’Unità d’Italia; di grande interesse i ritratti di Aurelio Saffi e di Cavour dipinti in maiolica da Angelo Marabini e un busto in terracotta raffigurante Giuseppe Mazzini realizzato da Domenico Baccarini, firmato e datato 1900.
Una speciale spazio è stato riservato ai tessuti: bandiere e uniformi varie.
Nel salone delle feste o “Galleria di Psiche” sono invece esposti editti, documenti e ritratti a partire dal 1794 fino a Pio IX. Da segnalare un busto in marmo bianco di Napoleone attribuito allo scultore Raimondo Trentanove.
Nell’ultima sala, detta anche Sala Saviotti dal nome del suo decoratore, sono esposti quadri, armi, cimeli, che si riferiscono in particolare a personaggi ed avvenimenti accaduti a Faenza durante la prima metà dell’Ottocento. Spiccano, tra i ritratti quelli di Achille e Francesco Laderchi ed una rara miniatura raffigurante il generale Giusppe Sercognani.
Particolare attenzione viene data alle donazioni e ai restauri che proseguono su diverse opere.
La palla del cannone francese che abbattè i battenti difensivi di Porta Imolese |
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